Fare le valigie
“Quanti costumi metto?”
“Il phon me lo porto?”
“Prendi anche una felpa che non si sa mai, la sera magari fa fresco”.
“Tesoro ma ti sembra il caso per una settimana di portarti tutta quella roba?”
“L’ombrello non lo metto, porta sfiga”.
“Libro: c’è. Settimana enigmistica: c’è. Matita con la gomma: c’è”.
Fare le valigie.
Un’attività tipicamente estiva, che rimanda a vacanze, relax, oppure viaggi, scoperte.
Un’attività oggetto di dispute, diatribe familiari, battute e stereotipi, tra chi è minimalista ed essenziale (“al limite lo compro poi là”), e chi è più previdente e legato al bisogno di avere oggetti personali (“mi porto il mio, di cuscino”).
La valigia a borsone, il trolley che con le ruote è più comodo, il bagaglio a mano, il bagaglio in stiva, la valigia che non si chiude più perchè avevo messo tutto ben ripiegato, e al ritorno invece ho cacciato tutto dentro a caso, confuso come i sentimenti di rientro da una bella vacanza. La valigia che non arriva sul nastro trasportatore, la valigia che mi fa imprecare, la valigia persa e poi ritrovata, la valigia seria con l’etichetta stampata o quella approssimativa, con il nome scritto a pennarello su un adesivo. Tutto normale.
Ma cosa succede se invece ribaltiamo il mondo, capovolgiamo i concetti, e diamo uno scossone a tutto ciò che conoscevamo? Cosa succede se la valigia deve contenere una vita, o più vite? Niente pareo coordinato con il costume, niente vestitino comprato per l’occasione: una valigia aperta e la scelta di cosa portare via da un mondo in rovina. Fissare il fondo vuoto del bagaglio da riempire, guardarsi intorno in una casa che è la propria, piena di storia, di eventi, di oggetti della quotidianità, guardare le bollette appuntate al frigo, i disegni dei figli, le scarpe all’ingresso, i libri del cuore sugli scaffali, la poltrona che vostra moglie aveva criticato e che invece si era rivelata comoda..e mentre si provvede a bruciare più cose possibile che riportino alla propria identità, per proteggere i familiari che resteranno lì, decidere cosa metterci dentro, cosa è imprescindibile, quali saranno le poche cose che si salveranno dal colpo di spugna di tutta la propria vita fino a quel momento. Decidere quali cose ritrovare riaprendola, una volta scesi dall’aereo, nel luogo lontano da casa in cui dover ricominciare tutto.
Questi nella foto sono i bagagli di un’intera famiglia, numerosa. C’è la loro vita, dentro, quella che hanno scelto di salvare. Sembrano piccoli, pochi, ma contengono tutto, in realtà. E di quel ‘tutto’ dobbiamo prenderci cura. Anche domani, anche dopo che caleranno i riflettori. Perché la libertà non è solo un concetto astratto, un ideale da nominare nei discorsi ‘nobili’, ma si misura in fatti e azioni quotidiane anche banali, quelle che permetteranno a questa e ad altre famiglie di riprendere ad avere uno spazio personale, di collezionare libri, di avere le scarpe all’ingresso, di lavorare, di vivere.
Ma soprattutto, le azioni che permetteranno a queste famiglie di ricominciare a pensare al futuro, di ricominciare a progettare, di ricominciare a sognare.
Speriamo solo di esserne all’altezza.